04 settembre 2008

Un nuovo modo di abitare: il cohousing


Milano fa rinascere
le vecchie masserie rurali

All’inizio del secolo scorso incominciavano a nascere, nei pressi delle zone industriali, gli agglomerati urbani di edilizia popolare per ospitare la grande massa di popolazione che,prevalentemente dalle campagne del Sud Italia, si spostavano in città del Nord sognando un lavoro nelle catene di montaggio delle fabbriche.Si lasciavano alle spalle la miseria sociale delle campagne che a stento permettevano loro di vivere dignitosamente.Erano vite dure che cominciavano con i primi raggi di sole e terminavano con fatica all’imbrunire, per seguire i riti della terra e le esigenze degli animali. Però c’era qualcosa chel’industrializzazione cancellò, qualcosa di molto importante oltre al rapporto diretto con la natura e alla conoscenza ancestrale tramandata di padre in figlio.Quei grandi quartieri operai pian piano sottrassero, a chi era abituato a vivere a stretto contatto con persone che non necessariamente facevano parte della propria famiglia, la coabitazione.La rincorsa al lavoro in fabbrica coincise con l’abbandono graduale delle antiche masserie e di un tipo di vita basato sulla solidarietà e aiuto reciproco. Il nuovo modello di vita produssecambiamenti sostanziali in famiglie abituate a condividere quasi tutto, dove i più giovani si prendevano cura degli anziani i quali, a loro volta, si curavano di tramandare tradizioni econoscenza alle nuove generazioni. Dapprima cercarono di trasportare ed adattare il loro stile di vita alle nuove condizioni abitative, ma pian piano vennero soverchiati da ritmi sempre più veloci. Cosi in pochi anni si favorìun graduale disgregamento delle strutture sociali che per secoli avevano caratterizzato le campagne italiane, sostituendo il meglio rodato modello con uno individualistico. Eppure daqualche anno sta tornando in auge in Italia il modello delle vecchie masserie, il cohousing. Nato nel 1964 dall’esigenza di un architetto danese Jan Gudmand-Hoyer che con un gruppodi amici cominciò a mettere in discussione il nuovo modello sociale, ed entro la fine di quello stesso anno progettò un complesso di 12 abitazioni alla periferia di Copenhagen,attorno ad una piscina e a spazi comuni. Il progetto venne presentato quattro anni dopo in un articolo su di un quotidiano intitolato “The missing link between Utopia and dated onefamilyhouse” e subito centinaia di famiglie si misero in contatto con lui perché interessate ad un simile stile di vita. Bastò poco tempo ed il cohousing si diffuse inmolti Stati del Nord Europa. La filosofia del cohousing è la condivisione degli spazi e dei servizi, ogni abitazione è indipendente, ma ogni nucleo familiare può usufruire di ciò che è stato concepitonel progetto per la comunità, ad esempio lavanderie, salotti, giardini, stanze per gli ospiti e nei progetti più avanzati addirittura vi sono palestre, asili nido, orti e perfino auto in comune.La condivisione, quindi, è il cardine su cui far ruotare un nuovo modello di vita, basata sulla tradizione ben rodata da centinaia di anni dai modelli rurali. Ogni progetto è differente daglialtri perché differenti sono le esigenze di chi entra a farne parte, ma ci sono caratteristiche da cui non si dovrebbe mai prescindere. Innanzitutto la “progettazione partecipata”, vale a direi futuri abitanti del complesso si incontrano in modo da stabilire un modus operandi con i progettisti, per stabilire quali spazi e quali servizi condividere e come gestirli. Questa fase puòdurare anche un anno ed è la base solida del progetto. La scelta dei cohouser, altro passo fondamentale, viene fatta tra persone che manifestano le stesse esigenze, anche se con basi ideologiche e religiose differenti, l’importante è la coesione. Lagestione dei servizi, i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria e tutta l’organizzazione generale devono avere una struttura non gerarchica, ognuno deve essere a disposizione deglialtri. Il rispetto della privacy è un punto fondamentale per la riuscita del progetto, la condivisione non deve scontrarsi con l’intimità della propria abitazione in modo da non creare attrititra i coabitatori. La tendenza è inoltre quella di seguire modelli ecosostenibili, votati da una parte al risparmio energetico, dall’altro al migliore utilizzodelle risorse a disposizione. Tutto questo dovrebbe tradursi oltre ad un miglioramento del tenore di vita, anche ad un risparmio economico, avere una lavanderia o addiritturauno spazio per i bambini gestito da persone che si conoscono, di cui ci si fida e con cui si è a contatto tutti i giorni sembra una utopia, ma è solo un modello che i nostri nonni conosconobene, ognuno insomma trova un proprio ruolo appartenendo ad una sorta di famiglia allargata, e dove ognuno per le sue competenze dà il meglio di sè. In Italia il cohousing è partito quandol’agenzia per l’innovazione sociale INNOSENSE PARTNERSHIP e il Dipartimento INDACO del Politecnico di Milano si incontrano per definire un percorso per la creazione della comunità italianadei cohouser. Oltre alla ricerca e la promozione di questo stile di vita, offrono consulenze che vanno dall’individuazione delle aree al coordinamento dei coabitatori nelle prime fasi del progetto,fino alla progettazione partecipata. La maggior parte dei progetti ruotano intorno alla capitale economica d’Italia, Milano, riadattando ad esempio una vecchia masseria del ’700 o un vecchio capannone, ma la diffusionesi sta allargando anche ad altre regioni come la Toscana e il Lazio, sul sito http://www.cohousing.it/ ci sono tante richieste di persone da tutto lo stivale che vogliono cominciare a progettare una vitabasato su un modello diverso da quello imposto dalla corsa frenetica degli untimi decenni.

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