Una guerra silente e mai dichiarata
Quando la religione diventa movente
Il viaggio della fiaccola delle ultime Olimpiadi (2008) è stato il più triste dall'inizio della manifestazione nell'era moderna, scortata da militari e polizia per il timore di proteste - puntualmente accadute - soprattutto per le repressioni della piccola comunità buddista del Tibet. Così da simbolo di pace, la fiaccola si è trasformata in ostentazione di potenza economica e militare nei confronti delle minoranze e senza che i Governi stranieri si lamentassero troppo - ad esempio - dell’ingerenza del Governo nelle questioni religiose, considerato che la Cina ha fondato una propria chiesa cattolica ufficiale, perseguitando gli adepti di quella romana. I quotidiani sacrifici degli ormai tristemente noti kamikaze in Iraq, gli attacchi dei Talebani in Afghanistan, le infinite guerre degli stati africani, i rapporti molto tesi tra Pakistan - a maggioranza musulmana - e India - a maggioranza Indù - che sfociano in scaramucce continue nella regione di confine del Kashmir, le guerriglie dei militanti cattolici dell’IRA (Irish Republican Army) contro gli Orangisti che professano la supremazia dei protestanti inglesi dell’Irlanda del Nord, sono solo alcuni esempi di come le religioni hanno un ruolo importante negli scontri per il controllo delle masse. Negli ultimi giorni di agosto poi, proprio in India ci sono stati una serie di attacchi da parte degli estremisti Indù contro le comunità Cristiane accusate di aver avviato una vasta campagna di proselitismo. Questo è solo l’ultimo esempio di una guerra silente e non dichiarata, i cui i numeri negli ultimi tempi, ormai sono diventati impressionanti. Ma com'è possibile che tutto questo avvenga in nome di un Dio, chiamato in modi diversi, ma che in tutte le religioni è il Creatore della vita, dispensatore di amore e di pace tra i propri figli nati a sua immagine e somiglianza? Per rispondere a questa domanda bisogna fare un salto nel passato. Devozione, questa è la definizione per comprendere ciò che spinge ad immolarsi per una causa, procurare morte e sacrificare se stessi. Per gli antichi comandanti romani la “devotio” era il rito con cui, in caso di estrema difficoltà, affidavano la propria vita e quella dell’esercito nemico agli Dei Mani e alla Terra per ottenerne la distruzione. Il termine in seguito fortunatamente ha assunto un significato più trascendentale indicando amore spirituale, ma l’origine del termine ha conservato intrinsecamente il proprio significato. Ogni movimento religioso ha un proprio armadio in cui nasconde il vero significato della devozione a cui fanno riferimento i propri adepti, almeno quelli più ortodossi. Dalla crocefissione di Cristo all'assassinio di Yitzhak Rabin, dalla Santa Inquisizione alla distruzione o "inglobalizzazione" delle culture precolombiane del continente americano, dalla Jihad contro la cultura occidentale alle lotte intestine tra sunniti e sciiti, in realtà le maggiori religioni abramitiche appaiono basate più su trattati militari ed economici che su di un unico testo sacro. Solo l’Islam e il Cristianesimo rappresentano oltre il 50% degli adepti, secondo le stime di http://www.adherents.com/ nel 2005 erano 2,1 miliardi i cristiani e 1,5 miliardi i musulmani le cui frange più integraliste spesso trasformano il proselitismo in lotta per la supremazia ideologica. Senza voler analizzare i casi che spingono singole persone ad ammazzare o perseguitare in nome di Dio e mettendo da parte i pregiudizi dovuti dalla base culturale di ognuno di noi, ci si rende conto di come a fomentare gli scontri inter-religiosi, siano pochi leader estremisti, che usano il proprio carisma per portare a termine disegni volti al controllo della popolazione e a carpirne la buona fede, solo per ottenere più peso politico ed economico. Poco importa se a sacrificarsi sono prevalentemente persone provenienti dai ceti medio bassi, indottrinati fin da piccoli ad odiare i diversi, vuoi per questioni soggettive, come la povertà indotta da occupazioni repressive, che per questioni oggettive come la lotta per la sopravvivenza e l’autodeterminazione. Per devozione quindi ci si fa esplodere in una piazza, in un ristorante, tra la folla di un mercato. Per fare questo bisogna essere annichiliti, predisporre il proprio stato d’animo a lasciare la vita convinti di trovare qualcosa di meglio dopo, di ritrovarsi in un paradiso in cui il proprio sacrificio è riconosciuto come un merito, un atto di eroismo. Uccidere in nome di un Dio vuol dire sostituirsi ad esso, avvalersi della sua facoltà di decidere della vita degli altri, quindi di prenderne il posto in un delirio di commistione tra perfezione, verità ed odio profondo. Ed è proprio questa mescolanza che rende distanti milioni di anni luce da Dio, diventandone l’antitesi, la sua negazione. Non potremo mai riuscire a comprendere appieno le emozioni, indubbiamente forti, che spingono esseri umani a decidere del destino di altri. Non dovremmo mai accettare che ci siano persone che, approfittando della disperazione, la fomentano in nome di Dio, a proprio uso e consumo.